ASSOCIAZIONE CULTURALE "IL SEGNO E LA PAROLA" Matera (MT) Italy segnoeparola@gmail.com

c2Fin dal primo esperimento col metodo caviardage ho colto il suo potenziale come strumento di meditazione.
Avendolo più di una volta accennato parlando del metodo caviardage, Tina Festa mi ha chiesto di scrivere qualcosa in merito e, pur considerandomi un “caviaggiatore dilettante” e un meditante solo discreto per metodo e costanza, avendo una sufficiente conoscenza attorno all’argomento, ho accolto di buon grado la proposta.
L’idea, diffusa, che la meditazione sia qualcosa di statico, da praticarsi in posizione seduta, a occhi chiusi e che essa sia uno strumento affine all’emisfero destro del cervello, femminile e sognatore è, sotto diversi punti di vista, solo parzialmente realistica. Abbiamo purtroppo anche la tendenza a considerare la meditazione come retaggio di culture orientali ma, nonostante in quelle zone si siano sviluppate in modo eccellente grazie alla diffusione che vi trovano religioni e filosofie che se ne servono, dovremmo considerare che la meditazione è una pratica assolutamente laica e neutrale rispetto alle credenze religiose.
Che ad essa si voglia dare un obiettivo filosofico, pratico, spirituale, di benessere o di conseguimento materiale è facoltà assoluta del praticante.
Uno dei presupposti per la pratica della meditazione è la fase che nel sistema dell’Ashtanga Yoga descritto negli Yoga Sutra di Patanjali, viene numerata come sesta e chiamata Dharana, che significa “concentrazione”. Chiunque abbia sperimentato il metodo caviardage conosce l’investimento di attenzione che viene rivolto alla pagina strappata.
Un’attenzione prolungata a quello che diviene in quei momenti “l’oggetto di meditazione” sfocia a volte, per un periodo più o meno lungo nel tempo e più o meno intenso per energia, in quello stato che si può considerare di vera e propria meditazione.
La scuola buddhista “tibetana” ritiene che il coinvolgimento contemporaneo di tre princìpi quali “corpo, mente e parola” rivolti all’oggetto scelto per meditare sia effettivamente Dhyana, meditazione. La ripetizione di formule con l’utilizzo di un “rosario” ne è un esempio classico: lo scorrere delle dita sui grani è il coinvolgimento del corpo, la ripetizione verbale o silenziosa della formula è il coinvolgimento della parola come l’attenzione sulla formula lo è della mente. Trovate dei parallelismi con la nostra pratica del metodo caviardage? Utilizzare la matita e tutti gli altri strumenti artistici è indubbiamente il coinvolgimento del corpo. Lo scorrere degli occhi tra i vocaboli che compongono la pagina è la presenza della parola. L’attenzione rivolta alla ricerca di una logica-artistica, di una corretta (dal punto di vista poetico) sintassi è l’investimento della mente.
E’ in quest’ultimo aspetto, il coinvolgimento della mente nella pratica del caviardage, che si trova celato uno dei motivi che enfatizza il suo potenziale meditativo e che lo differenzia da altre che comunque prevedono una prolungata concentrazione (per affinità mi si conceda di citare il cruciverba –col suo matematico, recente, corrispettivo: il sudoku-, o le arti visive).

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Tradizionalmente i momenti più propizi per la meditazione (e per una moltitudine di pratiche spirituali), sono quelli di transizione da una fase a un’altra: all’alba e al tramonto principalmente, a mezzogiorno o mezzanotte (più raramente), ma si pensi anche a quanto vengono celebrati i momenti di passaggio da una stagione a un’altra coi solstizi e gli equinozi o con le celebrazioni di mezza stagione come il primo giorno di febbraio, maggio, agosto […], novembre, senza scordare le fasi lunari… Addirittura si ritiene che il momento principe per i picchi più alti di meditazione sia quello dell’istante tra la fase di inspirazione e l’espirazione. Momenti, quindi, di fugace equilibrio tra realtà opposte e complementari.
Assegnando valenze archetipiche a questi momenti e riconoscendoli come espressioni di aspetti maschili (espirazione, estate, calore, giorno, luce) e femminili (inspirazione, inverno, freddo, notte, buio), è facile trovare il parallelismo con le funzioni dei due emisferi del nostro cervello che sono il terreno in cui la meditazione può germogliare. Essi si dovrebbero trovare in fase di equilibrio e di reciprocità per la realizzazione dello stato di coscienza che viene ricercato attraverso la meditazione.
Sappiamo, grazie alla scienza e, in particolare alle neuroscienze, che i due emisferi hanno capacità complementari e che il destro governa la parte opposta del corpo fisico, è dotato del potenziale artistico, creativo, sognatore… mentre l’emisfero sinistro è lo strumento della razionalità, della logica, del calcolo, et cetera. A mio avviso la pratica del metodo caviardage fa in modo che entrambe queste metà si attivino in modo armonico senza che l’una prevalga sull’altra e che l’opposta si senta mortificata e “messa da parte”, come potrebbe accadere (lo accennavo prima) con altre discipline che enfatizzano l’attività dell’una o dell’altra.

c4Durante l’applicazione del metodo caviardage si alternano, e per brevi momenti si accavallano, sconfinando l’uno nell’altra, l’utilizzo di una parte del cervello per la ricerca delle “belle parole” con l’attivazione dell’altra per l’individuazione delle parti del discorso che occorrono per legarle tra loro, in modo sintatticamente corretto in funzione della loro valenza poetica, metrica, musicale ed estetica. Nella fase successiva, dispensabile ma quasi costante, di costruzione del “fil rouge” (anche se spesso pure le fasi della creazione si alternano e fondono), accade lo stesso.
Rivolgiamo l’attenzione della mente, in modo sincronico: -alla funzione logica, che guida i nostri occhi (e quelli del nostro lettore) in modo razionale e sensato, da un vocabolo scelto all’altro, attraversando quelli che rimangono dormienti sotto i veli di colore più o meno coprente, -a quella creativa, che fa del “filo conduttore” un ghirigoro esteticamente piacevole, armonico e che a volte, addirittura, diventa il tratto facente parte di un disegno più complesso.
Per un effetto speculare mi viene da associare e da considerare amica (in senso pitagorico) del caviardage, la scienza della geometria sacra e la Matematica che la anima. Come per tutte le discipline, anche per il caviardage vale la regola che l’albero si riconosce dai frutti che dà. Io che vivo una leggera tendenza a sviluppare dipendenze piuttosto che a coltivare passioni (sic…) devo stare attento, per esempio, a quanto tempo gli dedico e in che modo. Fare le tre di notte (in realtà il mio record sono le 03.45, ma se ve lo confessassi vi dovrei poi uccidere…) non è certamente sano. Spiare il nuovo “vecchio libro” mentre si è fermi al semaforo… può essere deleterio. Scegliere di disciplinare la pratica, dandole un ritmo, un tempo e assegnandole un setting dignitoso è un po’ come il concetto di “sedersi” come fase stessa del percorso che porta alla meditazione (“Meditazione, teoria e pratica”, Douglas Baker, Edizioni Crisalide) e le dona più efficacia, potenza e bellezza.
Un ulteriore step che conduce all’espansione di coscienza tipica della meditazione è quell’invito che la mia formatrice, Letizia Espanoli, offre di continuo, non solo a proposito del caviardage: -Esci dalla zona di comfort! La sua esortazione a cambiare stile, a lasciare da parte i pennarelli se siamo già eccellenti in quella tecnica, a scegliere l’acquerello se ci sentiamo poco affini a quello, et cetera… è un modo dolce per abbattere quelle griglie mentali che ci costringono in una forma che, se pur ci fa sentire al sicuro, diventa una gabbia per la nostra crescita e la meditazione è anche quello: governo dello strumento “mente” attraverso l’azione consapevole su di essa.

c1Questo è quello che, a oggi, ho potuto sperimentare rispetto alla mia visione del metodo caviardage come strumento di meditazione dinamica e creativa. Mi assumo ogni responsabilità derivante da errori o visione distorta in merito alla meditazione e chiedo scusa ai miei maestri per aver interpretato male le loro parole. Sono certo però che anche un solo beneficio derivante dall’utilizzo meditativo del caviardage sarà un frutto sufficientemente gustoso da far loro scordare le mie inesattezze. Spero di aver risposto in modo adeguato alla proposta di Tina, che ringrazio per l’opportunità, e che quanto ho condiviso possa essere un contributo valido al metodo.

“dal ritrovato poeta che dormiva
nel greto asciutto dell’ispirazione,
a voi tutti, di qua o di là della diga,
auguro di ca-viaggiare leggeri
verso le vostre mète”

Eddy Verzini