ASSOCIAZIONE CULTURALE "IL SEGNO E LA PAROLA" Matera (MT) Italy segnoeparola@gmail.com

Articolo di Tina Festa

(Il presente scritto è stato inserito come contributo al libro “Emergenze poetiche” Il dono in forma di Caviardage a cura di Vincenzo Alastra. E20PROGETTIEDITORE Biella Marzo 2022)

Confesso che non mi sento a mio agio quando devo inviare un personale contributo per un libro che parla del Metodo Caviardage o ne raccoglie i lavori! Mi viene da pensare : “Devo raccontare qualcosa del Metodo Caviardage ma in realtà è di me che devo narrare!” perché il Metodo è strettamente collegato alla mia vita privata.

Anche ora il pensiero è lo stesso e questa volta, a differenza delle altre, racconto di me bambina, del mio rapporto con le parole e del modo in cui mi sono presa cura di me usando le parole prese in prestito da altri e dando a loro nuova forma e vita, per salvare la mia di vita.

Sono nata in una famiglia molto modesta, mio padre era muratore e mia madre sarta. Sono la prima di 3 figli. Il destino ci ha riservato una partenza non proprio semplice come nuova famiglia: tante difficoltà economiche che ci hanno portato a cambiare spesso città (sono nata in Brianza perché i miei sono emigrati da Matera per trovare lavoro al Nord) e casa, passando dal vivere in scantinati al cercare abitazioni di fortuna, fino a quando non è stata pronta la casa che mio padre ha costruito per noi, nella campagna dei nonni: dimora che anche io ho contribuito a realizzare, trasportando mattoni e materiali.

Con i miei genitori sicuramente non ci si annoiava! Avevano, ed hanno, mani d’oro, abituati a trasformare materiali di ogni sorta in qualcos’altro per non sprecare niente. Gli oggetti da gettare diventavano nuovi utensili o giocattoli e i vestiti potevano essere indossati, per diversi anni, con l’aggiunta di nuovi inserti e con modifiche che li trasformavano completamente; alla fine della loro vita le stoffe servivano alle mie bambole perché io e mia madre ci divertivamo a confezionare abitini degni di una sfilata di moda!

Mentre in casa c’era posto per giocare con i materiali, mancava quello per coltivare la parola. Le parole erano al servizio degli adulti e a noi bambini non era dato modo di entrare in quel mondo se non da spettatori. Tutte le parole anno dopo anno sono rimaste dentro di noi tre fratelli, sepolte, intrappolate…. troppe! Così tante che una volta diventata adolescente e poi giovane donna non era più possibile per me riuscire ad aprire un varco per liberarle senza che ci fosse uno scoppio! Come quando in una stanza durante un incendio si esaurisce l’ossigeno ed è preferibile non aprire le porte.

Nonostante in casa non vi fossero libri, quando ho iniziato a frequentare la scuola elementare, ed ho imparato a leggere, non ho più smesso. Divoravo libri nei quali mi nascondevo per sfuggire al difficile mondo adulto: prendevo in prestito libri dalla biblioteca di quartiere e dalla biblioteca scolastica senza sosta. Ma quelle parole non diventavano materia viva fuori di me! Rimanevano intrappolate come carbonio puro cristallizzato. Una miniera inesauribile che ha cominciato a scorrermi silenziosa sottopelle. Materiale grezzo che aveva bisogno di venire alla luce.

La mia pagella riportava ogni anno la stessa frase “bambina timida e silenziosa”… eppure dentro di me vi era un mondo di emozioni così grandi e assordanti che a volte faticavo a respirare!

Un giorno ho provato a scrivere poesie: mi sembrava che la poesia potesse essere una porta attraverso la quale le parole e le mie emozioni potessero uscire “e farmi sentire” più leggera! Ho creato una raccolta scrivendole su fogli di computisteria.

Da adolescente ho pensato di far leggere questa mia raccolta ad un amico, più grande di me di alcuni anni, che aveva da poco pubblicato il suo primo libro di poesia in città. Speravo che leggendo le mie poesie egli potesse comprendere quello che vivevo e che timidamente affidavo alla parola. Ritenevo che, in quanto poeta, egli con la sua sensibilità potesse arrivare lì dove altri non riuscivano. Le pagine mi sono state restituite per strada senza l’aggiunta di un commento, di una parola di conforto, velocemente e in modo distratto: erano state usate per prendere appunti che maldestramente erano cancellati con scarabocchi. Questo è stato il mio primo incontro con la poesia. Non ho più scritto poesie per tantissimi anni.

Sono ritornata alla poesia nel 2009 dalla “porta di servizio”: come un’inserviente ho indossato un grembiule, mi sono rimboccata le maniche e mi sono messa a giocare con le parole come non avevo mai fatto prima: come fossero materia viva! Ho cominciato ad annusarle, a sentirne il peso o la leggerezza, la consistenza, il sapore. Le ho sentite vive! Le ho viste muoversi sulla pagina, saltar fuori per raccogliere il mio sentire e tornare a danzare nella stessa pagina per raccontarmi di me. Tutto è iniziato in un momento difficile della mia vita nel quale non riuscivo a “dar voce al mio dolore”: avevo bisogno però di riconoscerlo, accettarlo, dargli la parola. Questo mi avrebbe permesso di “prendermi cura di me”. Per farlo ho preso in prestito, come materia grezza, le parole di altri: pagine strappate a caso da libri da macero. Tuffandomi in questo oceano di parole ho trovato le mie e la mia vera voce per dire quello che sentivo nell’attimo presente. Così è nato il Metodo Caviardage. È questo il mio modo di fare poesia: oggi riesco ad esprimere i moti dell’anima nel quotidiano, qualunque essi siano: gioia, dolore, paura, la vita tutta, senza paura di giudizio.

Ho testimoniato nei corsi che conducevo, in seguito, quanto da me vissuto e ho messo al servizio di tutti questo potente strumento di cura. Molti come me, con mio grande stupore, hanno cominciato ad utilizzar questo strumento per creare una nuova realtà a partire dalle parole che usano per definirla.

Se ripenso a me bambina, alla bimba timida e riservata che non aveva voce, alla giovane donna che ha attraversato tunnel di sofferenze, non posso non pensare alle tantissime persone che hanno un mondo dentro che chiede la parola o cerca un modo per attraversare il muro del silenzio. Sono certa, perché sono tantissime le storie che ho ascoltato sino ad oggi, che il Metodo Caviardage può creare la breccia in questo muro e aiutare tutti a camminare nel mondo “in punta di piedi, con occhi grandi” e con voce viva. Questo libro ne è una testimonianza.

L’immagine che dobbiamo avere di noi, qualunque cosa ci capiti nella vita è di essere testimonianza vivente di ciò che abbiamo attraversato: malattie, grandi gioie, maltrattamenti, depressioni, traguardi, abusi, disgrazie e vittorie. Diamo ad ogni momento le giuste parole per narrare di noi. E se vi è un momento di buio, paura, dolore… attraversiamo questo momento ad occhi aperti e tirando fuori la voce, con il giusto tempo: ognuno il suo.

Ringrazio a cuore aperto il dottor Vincenzo Alastra e l’ASL di Biella e dell’Associazione AIDO – Sezione di Biella per aver creato questo progetto con il quale pazienti che hanno vissuto un trapianto d’organo hanno potuto esplorare, attraverso la parola e il Metodo Caviardage, il meraviglioso mondo che li avvolge o che essi custodiscono. Leggere e osservare i lavori realizzati è per me una conferma: condividere è rinnovare il gesto del dono. Grazie.

Ringrazio il Cepell per aver offerto al Metodo Caviardage la possibilità di arrivare in tutte le scuole italiane con il concorso “Cercatori di poesia nascosta” e ringrazio a cuore aperto tutte le insegnanti che creano periodicamente occasioni in classe affinché i propri alunni possano esplorare attraverso la parola il meraviglioso mondo che li avvolge o che essi custodiscono.

tinafesta@caviardage.it www.caviardage.it